Un punto di riflessione fondamentale è stato il riconoscimento che molti ricercatori, pur eccellendo nella loro disciplina, possono non avere un background imprenditoriale per avviare e far crescere una startup. È quindi cruciale comprendere cosa cercano gli investitori in un Business Plan: la scalabilità del prodotto, il potenziale di crescita, l’attenzione all’utente finale e un modello di delivery sostenibile.
Gli esperti hanno inoltre illustrato le diverse fasi dello sviluppo di un farmaco, i costi crescenti ad ogni stadio e i sistemi regolatori volti a garantire la sicurezza. È stato sottolineato come la crescita della ricerca stimoli direttamente la crescita delle startup, attirando un numero crescente di investitori. Tuttavia, il percorso rimane complesso: nella cosiddetta “Valleys of Death” dell’innovazione, circa l’85% delle startup fallisce, mentre il 15% che ha successo compensa ampiamente le perdite.
In questo contesto, i relatori hanno invitato i partecipanti ad adottare la prospettiva degli investitori, ricordando l’importanza del “Patient Capital”, dato che i ritorni negli ambiti biomedici possono richiedere dai 15 ai 20 anni.
Sono state inoltre illustrate le differenze tra venture capital, corporate capital, hedge funds, crowdfunding, angel investors, insieme ai passaggi chiave di Pitch, Business Plan e Due Diligence. È stata ribadita la rilevanza delle Soft Skills: problem solving, trasparenza, realismo, capacità di negoziazione, public speech, originalità, networking e gestione del rischio.
Il Business Plan è stato descritto nei suoi elementi essenziali: team, business idea, analisi di mercato, governance e piano finanziario. I relatori hanno concluso sottolineando che non esiste un percorso unico o un modello rigido per costruire una startup: ciò che gli investitori cercano sono obiettivi concreti, passione, impegno e capacità di adattamento, oltre al prodotto stesso.